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CITTADINANZA JURE SANGUINIS

Lo Studio Legale Nardone è specializzato in giudizi civili per il riconoscimento della cittadinanza italiana in favore di discendenti di avi italiani anche residenti all’estero (jure sanguinis) ai sensi dell’articolo 1 della Legge 5 febbraio 1992 n. 91 )e regolamento di esecuzione DPR 12 ottobre 1993 n. 572 e DPR 18 aprile 1994 n. 362), avendo maturato nel corso degli anni una consolidata esperienza professionale.

La cittadinanza italiana può essere richiesta e riconosciuta al cittadino straniero in presenza di un legame con il territorio italiano, come il matrimonio con cittadino italiano, oppure, la presenza di ascendenti italiani o la residenza per 10 anni in Italia.

Lo Studio Legale Nardone è composto da un team di esperti professionisti coordinati dalla Dott.ssa Rossella Nardone (whatsapp 0039-3287374083 – la quale parla anche la lingua portoghese) che garantisce assistenza legale e consulenza agli stranieri che intendono acquisire i diritti e la cittadinanza italiana, ivi esaminando le richieste ed analizzando la documentazione fornita dagli stessi.

Inoltre, lo Studio Legale si avvale anche di collaboratori qualificati in America Latina (Brasile, Argentina e Messico) al fine di provvedere al reperimento di tutta la documentazione occorrente (certificazioni amministrative, traduzioni giurate e postille) per essere utilizzati nei giudizi civili aventi ad oggetto il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza.

Infine, lo Studio Legale presta la propria assistenza legale anche nella fase successiva a quella giudiziaria, mediante la fase amministrativa di trascrizione presso i Comuni della Sentenza che ha sancito il riconoscimento della cittadinanza italiana.


COS’E’ LA CITTADINANZA PER FILIAZIONE

L’art. 1 della legge n. 91/1992 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini. Viene, quindi, confermato il principio dello jus sanguinis, già presente nella previgente legislazione, come principio cardine per l’acquisto della cittadinanza mentre lo jus soli resta un’ipotesi eccezionale e residuale.

Nel dichiarare esplicitamente che anche la madre trasmette la cittadinanza, l’articolo recepisce in pieno il principio di parità tra uomo e donna per quanto attiene alla trasmissione dello status civitatis.

La legge del 1912, sebbene all’art. 1 confermasse il principio del riconoscimento della cittadinanza italiana per derivazione paterna al figlio del cittadino a prescindere dal luogo di nascita già stabilito nel codice civile del 1865, all’art. 7 intese garantire ai figli dei nostri emigrati il mantenimento del legame con il Paese di origine degli ascendenti, introducendo un’importante eccezione al principio dell’unicità della cittadinanza.

L’art. 7 della legge 555/1912 consentiva, infatti, al figlio di italiano nato in uno Stato estero che gli aveva attribuito la propria cittadinanza secondo il principio dello jus soli, di conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita, anche se il genitore durante la sua minore età ne incorreva nella perdita, riconoscendo quindi all’interessato la rilevante facoltà di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero.

Tale norma speciale derogava, oltre al principio dell’unicità di cittadinanza, anche a quello della dipendenza delle sorti della cittadinanza del figlio minore da quelle del padre, sancito in via ordinaria dall’art. 12 della medesima legge n. 555\1912.

Le condizioni richieste per tale riconoscimento si basano perciò, da un lato sulla dimostrazione della discendenza dal soggetto originariamente investito dello status di cittadino (l’avo emigrato) e, dall’altro, sulla prova dell’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza (mancata naturalizzazione straniera dell’avo dante causa prima della nascita del figlio, assenza di dichiarazioni di rinuncia alla cittadinanza italiana da parte degli ulteriori discendenti prima della nascita della successiva generazione, a dimostrazione che la catena di trasmissioni della cittadinanza non si sia interrotta).

L’autorità competente ad effettuare l’accertamento è determinata in base al luogo di residenza: per i residenti all’estero è l’Ufficio consolare territorialmente competente.

La procedura per il riconoscimento si sviluppa nei passaggi di seguito indicati:

accertare che la discendenza abbia inizio da un avo italiano (non ci sono limiti di generazioni); accertare che l’avo cittadino italiano abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del discendente. La mancata naturalizzazione o la data di un’eventuale naturalizzazione dell’avo deve essere comprovata mediante attestazione rilasciata dalla competente Autorità straniera; comprovare la discendenza dall’avo italiano mediante gli atti di stato civile di nascita e di matrimonio; atti che devono essere in regola con la legalizzazione, se richiesta, e muniti di traduzione ufficiale. A tal proposito è opportuno ricordare che la trasmissione della cittadinanza italiana può avvenire anche per via materna solo per i figli nati dopo il 01.01.1948, data di entrata in vigore della Costituzione; attestare che né l’istante né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la catena di trasmissione della cittadinanza, mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità diplomatico consolari italiane.

Il richiedente ha l’onere di presentare l’istanza corredata dalla prescritta documentazione, regolare e completa, volta a dimostrare gli aspetti sopra elencati.

L’istanza deve essere presentata all’Ufficio consolare nell’ambito della cui circoscrizione risiede lo straniero originario italiano.

GUIDE LEGALI CITTADINANZA

In Italia la cittadinanza si trasmette per discendenza (“iure sanguinis”), per cui alla nascita si acquista la
cittadinanza del proprio genitore (articolo 1 della Legge n. 91/92: “è cittadino il figlio di padre o di madre
cittadini”).

Discendenti per linea paterna
Per tutelare i figli degli emigrati italiani, la Legge n. 555/1912 ha confermato il principio del riconoscimento
della cittadinanza italiana per derivazione paterna al figlio del cittadino a prescindere dal luogo di nascita.
Pertanto, chi è nato in uno Stato in cui vige lo “ius soli” ha diritto di essere riconosciuto “cittadino italiano”
se dimostra di avere un avo italiano, senza limiti generazionali (con l’unico limite che dalla documentazione
dell’antenato italiano lo stesso risulti in vita dopo il 17 marzo 1861, data della proclamazione del Regno
d’Italia).

Discendenti per linea materna
La norma sopra indicata si riferisce però esclusivamente ai discendenti per derivazione paterna.
Solo con l’entrata in vigore della Costituzione, dal 1 gennaio 1948, il principio suddetto si applica anche ai
discendenti per derivazione materna, onde evitare ingiuste discriminazioni basate sul sesso.
Cosa succede invece per chi è nato da cittadina italiana prima del 1 gennaio 1948 ?
In tal caso, è ugualmente possibile ottenere la cittadinanza, ma non è sufficiente presentare richiesta al
Consolato, non essendoci una norma specifica che consentirebbe il riconoscimento della cittadinanza.
Pertanto è necessario proporre ricorso al Tribunale italiano, per ottenere una sentenza dichiarativa dello
status di cittadino italiano per derivazione materna.

Riepilogando:
– per i nati dopo il 1 gennaio 1948: è sufficiente presentare istanza al Consolato italiano;
– per i nati prima del 1 gennaio 1948, in linea paterna: è sufficiente presentare istanza al Consolato
italiano;
– per i nati prima del 1 gennaio 1948, in linea materna: è necessario presentare ricorso al Tribunale
italiano.

Requisiti
In tutti i casi, l’unica condizione richiesta è che la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia
interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di uno degli ascendenti prima della nascita del figlio cui si
vorrebbe trasmettere la cittadinanza.

L’interessato dovrà quindi dimostrare:

  • la discendenza da un avo italiano (non ci sono limiti di generazioni), attraverso gli atti di nascita e di matrimonio;
  • che l’avo cittadino italiano abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del discendente.
  • La mancata naturalizzazione o la data di un’eventuale naturalizzazione dell’avo deve essere comprovata mediante attestazione rilasciata dalla competente Autorità straniera. Al riguardo, si evidenzia (per il caso specifico del Brasile) che la grande naturalizzazione del 1889 non preclude la trasmissione della cittadinanza, secondo la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione SSUU n. 25317 del 12 luglio 2022 e pubblicata il 28 agosto 2022.
  • che né l’istante né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la
    catena di trasmissione della cittadinanza, mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti
    Autorità diplomatico consolari italiane.
    Documenti da presentare
    I documenti da presentare sono:
  • copia integrale dell’atto di nascita dell’avo italiano emigrato all’estero, rilasciato dal Comune
    italiano nel quale egli nacque;
  • atti integrali di nascita di tutti i suoi discendenti in linea retta, compreso quello della persona
    rivendicante la cittadinanza italiana;
  • atti integrali di morte degli ascendenti in linea retta deceduti;
  • atto di matrimonio dell’avo italiano emigrato all’estero;
  • atti di matrimonio dei suoi discendenti in linea retta, compreso quello dei genitori della persona
    rivendicante la cittadinanza italiana;
  • certificato rilasciato dalle competenti autorità dello stato estero di emigrazione, attestante che
    l’avo italiano a suo tempo emigrato dall’Italia non acquistò la cittadinanza dello Stato estero di
    emigrazione anteriormente alla nascita dell’ascendente dell’interessato;
  • certificato rilasciato dalla competente Autorità consolare italiana, attestante che né gli ascendenti
    in linea retta, né la persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana, vi abbiano mai
    rinunciato ai sensi dell’articolo 7 della Legge 13 giugno 1912 n. 555;
  • certificato di residenza (se l’istanza viene presentata in Italia).
    Ai sensi del D.P.R. 445/2000, tutti i documenti sopra elencati che sono stati formati all’estero, devono
    essere tutti apostillati, tradotti in lingua italiana e muniti di legalizzazione consolare (o Apostille, se lo Stato
    in questione aderisce alla Convenzione dell’Aja del 1961).


Ricorsi contro la “fila” del Consolato
Cosa si può fare se il consolato stabilisce liste di attesa eccessivamente lunghe?
Soprattutto in alcuni Stati (Brasile, Stati Uniti, ….) il numero di domande è molto alto e i tempi di evasione
delle pratiche sono lunghissimi. A volte gli appuntamenti per la cittadinanza vengono fissati addirittura
dopo dieci anni.
In questi casi è possibile adire direttamente il Tribunale in Italia per ottenere la cittadinanza, senza
attendere la fila del Consolato.
L’orientamento che si sta consolidando nei Tribunali italiani, infatti, ritiene che i tempi di risposta dei
Consolati sono irragionevoli e contraddicono l’articolo 3 del D.P.R 362/1994, che fissa in due anni il termine
per definire il procedimento di cittadinanza.
Queste lunghe tempistiche si traducono in un diniego di giustizia, per cui viene riconosciuta agli interessati
la possibilità di ricorrere direttamente il Giudice, il quale, accertata la discendenza sulla base dei documenti
sopra indicati, dichiarerà la cittadinanza italiana dei richiedenti.